08 June, 2009

giravolte journal - Cinema du Reel - Marzo 2006

Il festival internazionale di film documentari, alla 28° edizione, ha una cospicua affluenza di pubblico attento e molti spettatori in avanscoperta che trovano a disposizione un’impressionante varietà di film nelle sezioni. Il concorso internazionale, la selezione francese, la rassegna sul cinema siriano, Detour e Hors competition i film fuori competizione. Film documentari che combinano le visioni della realtà con punti di vista personali, raccontando storie che spesso si intrecciano ai luoghi frequentati o di nascita, dove l’esperienza con il territorio e l’attenzione al suo divenire, in alcuni genera spunti narrativi in altri diventa centrale. Inoltre documentari dedicati al pensiero del cinema, La derniere utopie, la télévision selon Rossellini di Jean-Louis Comolli, al processo artistico, Tentatives de se décrire di Boris Lehman e Meng you di Huang Wenhai, alla sperimentazione nel rappresentare Symbiopsychotaxiplasm: Take 2 1/2 di William Greaves, alla ricerca audiovisiva per una serie di film televisivi, La Nuit di Paul Ouazan, ad artisti, Pierre Bonnard di Alain Cavalier. Film coprodotti da più paesi, spesso con la garanzia della prevendita tv, vari in partnership con Arte, molti autoprodotti e altri provenienti dalle scuole di cinema. Direzione artistica di Marie-Pierre Duhamel Muller. Il progetto di divulgazione di massa per un nuovo umanesimo di Roberto Rossellini è di estrema attualità. Concretamente utopico. Il cineasta all’inizio degli anni 60 pensava già a “una nuova missione per il cinema”. Usare la diffusione televisiva per far conoscere allo spettatore la grande avventura della storia dell’uomo e del pensiero, intrattenendolo. Una produzione e un palinsesto teso a rappresentare i momenti salienti della storia dell’umanità per capirne gli snodi e le evoluzioni. Diffondendo in tutte le case gli strumenti per coltivare senso nell’esistenza, “per ripensare il mondo, per riappropriarsi della propria storia, riscoprire l’immaginazione e il desiderio per la conoscenza come necessari elementi per fuoriscire dall’alienazione” come scrive Comolli. Che entra nel pensiero di Rossellini per condividerne le preoccupazioni, i dubbi, le proposte e le modalità di accesso all’esperienza cinematografica e televisiva. Uno degli obiettivi di La derniere utopie, girato con grazia sulle orme dei movimenti di macchina di Rossellini, è quello di rimettere al centro della fruizione dell’intrattenimento l’utilità del cinema e della televisione per lo sviluppo della conoscenza. Symbiopsychotaxiplasm: Take 2 1/2, coprodotto da Steven Soderbergh e Steve Buscemi, rivisita il girato in 16mm di un set nel quale la troupe entrò discutendo direttamente nelle riprese, era il 1968. Il regista afroamericano William Greaves guidava gli attori sperimentando metodi di narrazione. La separazione di una coppia era la storia da affrontare con metodo Stanislavsky e psicodramma dal vivo. Impostando delle situazioni emotive come chiavi della narrazione e lasciandoli improvvisare nei dialoghi e negli sviluppi, a caldo. L’operatore cominciò a consumare pellicola al di qua spostando l’attenzione dalla storia di coppia, lei nera americana e lui bianco americano, alle discussioni che i dialoghi e lo scenario scatenavano nella troupe di cinefili. Il regista non oppose resistenza. Tempo di guerra in Vietnam, di consolidamento del femminismo americano, delle Black Panthers, di I want to take you higher Sly & The family Stone, Freedom Richie Havens. Greaves a suo agio nell’infinita profondità di campo che il film aveva assunto torna nel 2005 a visitare i complici dell’epoca e richiama al disordine gli attori-coppia e i filmmaker amici di oggi. In video nella stessa location di Central Park gli attori discutono sulla messa in scena della coppia divisa che si rincontra trent’anni dopo. Provano varie strade di raccordo narrativo e di dialoghi, riflettono su come dare importanza ad una parte piuttosto che a un’altra. La troupe di filmmakers, con alcuni della vecchia guardia e altri new entry come Steve Buscemi in veste di produttore, interviene nuovamente con consigli discussioni e temi che narrano anche la storia degli Stati Uniti degli ultimi anni, l’Aids, 9/11, l’aumento degli affitti, la politica dei Bush. La riflessione sulla realtà e le possibili rappresentazioni continua con la sua poetica politica ed ironia. Arcana di Cristobal Vicente è un film che traccia una ricognizione dell’ex prigione di Valparaiso in Cile, girato nell’ultimo anno prima della chiusura definitiva. Il filmmaker tenta di entrare “nella città di detenuti” che chiude dopo centocinquantanni di esistenza e nella quale si sono sedimentati codici di linguaggio, condizioni aberranti di pratiche di sopravvivenza e relazioni difficili da decifrare dall’esterno. Il suo rapporto con la realtà della prigione è talmente complesso che Vicente amplia la materia d’indagine in un progetto multi disciplinare che comprende anche un libro ed un sito web (proyectoarcana.cl). Carnets d’un combattant di Stefano Savona segue passo passo, l’itinerario di combattenti curdi, la vita sui monti di, perlopiù giovani, donne e uomini mentre attraversano il Kurdistan iracheno per raggiungere le zone di guerra al confine con la Turchia. Il diario di uno di loro usato come voce narrante in soggettiva, ci guida nella quotidianità di questo cammino rivoluzionario, nelle tensioni, i sogni, i motivi, e nella certezza di poter incontrare la morte in combattimento. Savona li affianca, li precede e li lascia proseguire, ne pedina il fascino, le pause. Nel film si comincia a discutere del rapporto tra la donna e l’uomo, il femminile ed il maschile, un combattente tornato dalla Germania si confronta con sue coetanee mai emigrate, con attenzione e leggerezza. E’ presente Ochalan che tramite lettera viene ascoltato in silenzio in un campo di sosta lungo il tragitto. Si rivolge ai combattenti uomini avvertendoli di non fare gli stessi errori che fece lui esortandoli a capire il passato delle relazioni tra uomini e donne per rispettare e comprendere a fondo le loro compagne oggi, e esorta le donne a formulare e difendere con orgoglio le loro istanze e il loro posto nella famiglia, nel mondo kurdo, nella quotidianità, nella lotta di un intero popolo. Questi momenti di prezioso confronto sono materia d’importazione per i sedentari della ricostruzione di emancipazioni persi nell’esportare la democrazia altrove, tanto spaesati nel voyerismo ombelicale. Nei titoli di coda leggiamo che alcuni dei combattenti non ce l’hanno fatta a varcare il confine, la guerra di autodeterminazione di un popolo. Vincitore dello premio Scam International in ex aequo con Babooska, Tizza Covi and Rainer Frimmel, Austria. Altro film di produzione franco-italiana oltre Carnets è I Sette marinai dell’Odessa di Leonardo Di Costanzo e Bruno Oliviero, Vivo produzione italo-albanese di Mattia Soranzo e Ervis Eshja, A Ming di Alessandro De Toni e Matteo Parisini, tutti nel concorso internazionale. John & Jane di Ashim Ahluwalia. Nella cosidetta sylicon valley del globo, impiegati indiani dal perfetto accento midwestern rispondono alle chiamate toll free (numero verde) fatte in nord america per acquistare prodotti. Un call center per gli Stati Uniti con base in India, Mumbai. Dove gli impiegati perfezionano l’inglese direttamente sui cataloghi dei prodotti in vendita, hanno turni di dieci docici ore a notte, fuso orario, e alcuni ormai nella parte di John o Jane si innescano nella rappresentazione della prosperità globale, “tutti quelli che sono andati in America sono ricchi” dice Oaref alias Osmond. In parte è vero almeno rispetto all’attuale pro capite dell’India, nel frattempo i problemi del precariato e dello sfruttamento dei lavoratori immigrati negli States non sono da sottovalutare e sono finalmente materia di primetime news, dalle grandi marce degli ultimi mesi al Mayday made in U.s.a. Nell’ India, grande esempio di lotte sindacali ghandiane, di J & J oggi l’Eldorado è per contratto percepito altrove. Meng you di Huang Wenhai è popolato di artisti, musicisti e poeti cinesi impegnati nel fantasticare sull’arte e l’amore e nel mettere in atto il daydreaming. A dorso nudo o nudi del tutto in bianco e nero suonano heavy metal, fanno assoli di filosofia, ascoltano il ventilatore mentre si masturbano, usano i corpi come elastici per assediare ovunque il quotidiano di artisti. Un divenire dentro i cambiamenti sostanziali che percorrono la Cina d’oggi. Il film, vincitore del Grand prix del festival è la seconda parte di una trilogia su “la sopravvivenza in un mondo assurdo”. La retrospettiva sulla Siria raccoglie gli sguardi di Alexander Promio, operatore per i Lumière e tra i primi teorici dell’immagine in movimento sulla “grande Turchia”, del 1897 Damas:une place e Souk-el-Fakhra, i cinegiornali Actualités Pathé girati tra il 1924 e il 1931, Sous le ciel de Damas di Tahta Sama’ Dimashq, 1931, Bidayat Al Cinama fi Sourriya di Youssef Fahdah, 1964, che testimonia gli inizi del cinema siriano. Si attraversano gli anni dei grandi cambiamenti sociali e il mezzo documentario diventa discorso cinematografico per rappresentare voci, opinioni e poesia. In D’elle di Samir Zikra, 1982, una giovane donna siriana in jeans e maglietta viaggia in lungo e largo per il suo paese per intervistare e conversare con donne di tutte le generazioni ed estrazioni sul significato delle tradizioni, sull’amore e il rapporto di coppia, sull’oppressione, sui sogni, su le loro preoccupazioni. E i film di Omar Amiralay, impegnato da anni nella creazione di un istituto del cinema arabo, Yousry Nasrallah, Mohamed Malas, Oussama Mohammad tra cui il dirompente Noujoum A’Nahar (Stelle di giorno) del 1988, dove si narra delle disavventure di un matrimonio, combinato, e della fuga di Sana promessa sposa. Cinema du Reel si dirama anche oltre il Centre Pompidou, mentre le strade di Parigi sono piene di studenti e sindacati che lottano contro la Cpe, e le solite esagerate orde di celerini in tenuta antisomossa. E’ una scintillante assemblea permanente a cielo aperto e scaltra nel movimento, si cambiano percorsi via sms all’ultimo istante, più che una strategica somossa incendiaria. Nel metissage parigino gli antisommossatori impiegano il tempo a fare generiche retate di persone non bianche nel metrò, pratica violenta e fuori controllo legale che sembra essere all’ordine del giorno. Negli spazi pubblici della città sono molte le discussioni, litigate, invettive solitarie, a sfondo etnico che capita di ascoltare e testimoniare. Negli altri spazi la programmazione include Un Salone di musica con il cinema documentario, musica siriana dal vivo su immagini di documentazione girate tra il 1897 e il 1930, Suoni e voci della Siria, unaserie di documentari radiofonici scelti e assemblati appositamente. Gli incontri, aperti al pubblico, sono volti a promuovere il confronto e la verifica con le realtà produttive e distributive, gli operatori del settore istituzionale, di stampo mainstream, alternativo e autorganizzato. All’incontro Eurodoc, un progetto di network sostenuto dal programma MEDIA della comunità europea, in Francia dal Centro Nazionale della Cinematografia e la Procirep che promuove regolari incontri tra produttori e cineasti ai maggiori festivals del documentario, si discuteva sulle dinamiche di coproduzione oggi per i documentari di creazione di alta qualità. Partendo dal problema che nessun paese è più autosufficiente per garantirne gli investimenti adeguati. Nondimeno i meccanismi per raccogliere fondi stanno cambiando ad una velocità impressionante rispetto alla quale è necessario un training continuamente aggiornato per garantire la produzione e la diffusione dei film. Organizzato dall’Addoc, Associazione dei cineasti documentaristi, l’incontro su Filmare il potere: quali scenari , quali messe in scena? “E’ attraverso il cinema che tutto diventa possibile: indicare cosa manca, mostrare cosa è nascosto, far veder l’invisibile e ciò che accade attraverso la manipolazione, dare risonanza alle cose bisbigliate, forzare l’implosione degli slogan e mettere in crisi i discorsi ufficiali” come suggerisce Omar Amiralay. Partendo dall’esperienza del suo L’Homme aux semelles d’or dove il cineasta sceglie di filmare un uomo politico (Rafik Hariri). Nel documentario è reso evidente il rapporto di potere che esiste tra chi filma e chi è filmato. Della difficoltà nel filmare il suo personaggio principale il cineasta ne fa materia di narrazione, il film deraglia sulla questione della forma da adottare e sul dispositivo della messa in scena come rapporto di forza. Il cineasta filma il reale o la sua relazione con il reale? Le Giornate professionali incentrate su la diffusione del documentario puntavano a chiarire le realtà esistenti per la circolazione dei documentari e a verificare le possibili forme di collaborazione a venire accostando ai teorici della fruizione i realizzatori stessi. Erano chiamati a partecipare cinefili, registi, bibliotecari e videotecari, editori e librai, programmatori e curatori, professionisti del cinema e dell’audiovisivo, associazioni culturali e operatori sociali. Due i temi all’ordine del giorno, il documentario nelle sale e le edizioni in dvd accanto all’incidenza del video on demand, video a richiesta. Radiografare quindi la politica editoriale dei distributori e degli esercenti, i mezzi di diffusione dei film privi di distribuzione, e quali migliorie apportare ai meccanismi che sostengono la diffusione delle opere prodotte al di fuori del circuito cinematografico e televisivo. Per la seconda parte capire come si formulano le linee editoriali e le collane delle edizioni di documentari, quali prospettive ha la diffusione culturale e alternativa al di fuori della grande distribuzione in Francia e all’estero e come incentivare lo sviluppo del video on demand (satellite, digitale terrestre, audiovisivi via telefonia mobile) per far si che generi capitale da reinvestire in nuove produzioni. La presentazione della collezione Dvd Cinema du Reel che propone al pubblico una scelta che va dai classici del cinema documentario ai film di cineasti da lungo tempo assenti dalle reti di diffusione. La collezione diffusa in specifici punti vendita è dedita a creare anche un centro di risorse per la scoperta del patrimonio documentario internazionale attraverso la diffusione nella rete delle biblioteche publiche. Primo titolo in collaborazione con Zarafa films e Cmc, La Guerre de pacification en Amazonie di Yves Billon del 1973. Cinema du reel è un festival che permette di fruire il cinema ad ampio raggio, dalla visione dei film all’analisi della funzione culturale e di come incentivarla, a mantenere aggiornato il rapporto con l’industria in tutte le sue modalità. Un approccio che si misura con il contemporaneo cinematografico culturale e economico.